di Camillo Sperzagni
Dicono che in Cina, se si odia veramente qualcuno, lo si maledice così: “Che tu possa
vivere in tempi interessanti!” Storicamente i «tempi interessanti» sono stati periodi di
irrequietezza, guerre e lotte per il potere che hanno portato sofferenze a milioni di
persone. Oggi ci stiamo chiaramente inoltrando in una nuova epoca di “tempi
interessanti”, e non è un caso se la Biennale di Venezia di quest’anno ha proprio questa
insolita maledizione come titolo. Dopo decenni di stato sociale stiamo vivendo un nuovo
periodo in cui la crisi economica è diventata permanente, ed è ormai un semplice modo
di vita. Ci sono poi l’emergenza climatica, l’esodo dall’Africa, la disgregazione sociale
causata da chi usa i social per confondere le idee altrui a proprio vantaggio, il
riemergere di tensioni internazionali, e probabilmente manca ancora qualcosa.
Ma per fortuna questi tempi sono interessanti anche per altri elementi decisamente più
positivi, tra cui l’emergere sempre più diffuso di nuove forme di consapevolezza verso
sé, verso gli altri e le varie forme di vita del nostro bellissimo quanto tribolato pianeta.
A questo processo di consapevolizzazione non si sottrae -e per fortuna- nemmeno la
ricerca scientifica, che dopo essere stata costretta dal suo stesso sviluppo a rinunciare
definitivamente alla pretesa di possedere la verità definitiva, oggi inizia a guardare con
più rispetto e interesse al patrimonio di conoscenza accumulato in millenni dal sapere
tradizionale. In particolare da quel sapere scaturito dalle civiltà orientali più evolute e
stratificate: India e Cina in prima fila. Capita così che sempre più spesso possiamo
assistere a interessanti convergenze e ibridazioni, specialmente nei settori di ricerca che
riguardano la fisiologia, la mente e i processi psicologici. Pratiche come l’agopuntura o
la mindfulness sono ormai ampiamente sdoganate e divenute esse stesse terreni di
ricerca neuroscientifica. In particolare, per noi che pratichiamo Tai Chi, può essere di
particolare interesse la recente scoperta che il nostro corpo non possiede uno, ma bensì
tre cervelli: oltre a quello encefalico -il più sviluppato e complesso- abbiamo un’altra
estesa rete neurale a livello enterico, cioè attorno all’intestino, e infine un terza rete
neurale in zona pericardica, dove sta il cuore. E’ facile a questo punto vedere il
collegamento tra questa scoperta e il fatto che nel Tai Chi il nostro corpo è diviso in tre
sfere : testa, cuore e pancia, e che ognuna di queste tre sfere può essere soggetta a
blocchi e chiusure che si ripercuotono sulle altre due. Il lavoro scientifico sulle reti
neurali aggiunge chiarezza a questa tripartizione: infatti i “tre cervelli” -com’è facile
immaginare- non lavorano indipendentemente, ma sono fortemente connessi tra loro
attraverso reti di nervi e di neurotrasmettitori (sostanze chimiche prodotte non solo
dalle reti neurali, ma in pratica da tutti i nostri organi interni).
Il quadro che ne deriva è stimolante: mentre la funzione di elaborazione dei dati è più
addensata in certi punti, tutto il nostro corpo è “intelligente”. La mente, la coscienza
non risiedono in un punto specifico, ma sono “proprietà emergenti” di questo intricato
processo tra soggetto e contesto che lo circonda. Un po’ come dire che la corsa
ovviamente non risiede nelle gambe, né le parole risiedono nella bocca.
Dunque come hanno origine i blocchi e le chiusure, e in che modo possono essere risolti?
Sappiamo che nel Tai Chi si lavora ad esempio con la struttura e l’intenzione, e anche
riequilibrando i tipi di energie interne. Tuttavia, in tema di convergenze, è interessante
parlare di un nuovo set di tecniche chiamato MBIT, cioè Multiple Brain Integration
Techniques, elaborato da due coach e formatori (Marvin Oka, hawaiano, e Grant
Soosalu, australiano). Il loro assunto è che molte delle tipiche difficoltà emotive, di
azione e decisione che possiamo sperimentare nascono proprio da un “dialogo
disfunzionale” tra i tre cervelli. Infatti ognuno di loro è strutturato, all’interno del più
vasto sistema del nostro corpo, per presiedere a determinate funzioni: semplificando, il
cervello encefalico dovrebbe avere il predominio sugli aspetti razionali e di produzione
di senso, quello pericardico sugli aspetti emotivi, affettivi e valoriali, e quello enterico
sulle questioni di sopravvivenza e identità profonda. Invece molte volte, a causa di
distorti schemi culturali e/o emotivi, succede che alcune funzionalità tipiche di un
cervello vengano “risucchiate” da un’altra rete che non ne avrebbe la titolarità (ad
esempio decisioni affettive che vengono subordinate a disamine di ragionevolezza o
opportunità economiche), dando luogo a conflitti interni, paralisi decisionali e scelte
sbagliate. In un libro di quasi trecento pagine, i due autori -che peraltro citano il
Taoismo come una delle loro fonti di ispirazione -entrano in ogni dettaglio tecnico su
come sia possibile individuare l’eziologia della difficoltà e con quali tecniche (mentali e
corporee) sia possibile procedere a una corretta redistribuzione delle funzionalità. Per
chi fosse interessato, il titolo del libro è “MBraining, armonizzare i tre cervelli”.
La proposta, in sé interessante e funzionale, ci pare soprattutto indicare la fecondità di
un atteggiamento mentale capace di collegare progresso scientifico e paradigmi di
pensiero tradizionale. Ne è un esempio il bel libro del Dalai Lama “Ponti sottili”, in cui
il pensiero buddhista viene messo a confronto con gli apporti di scienziati della mente
come Francisco Varela, Paul Ekman, Jeremy Hayward e altri.
Quando i tempi si fanno “interessanti” può essere utile cambiare orientamento:
sviluppare una mente in grado sì di analizzare, ma soprattutto di creare collegamenti
nuovi.