di Laura Fagnola
Ho cominciato a lavorare a maglia da piccola. Mi ricordo la tensione dei primi punti, la rigidità delle mie braccia, il filo teso e l’occhiello così duro da non riuscire a scorrere sul ferro. Poi finalmente è arrivato il piacere, il movimento ripetitivo ha sciolto la tensione iniziale e tutto scorreva fluido come le lunghe sciarpe colorate che uscivano dalle mie mani.
Questo fino a circa una decina di anni fa, quando un problema di cervicale mi impedì di lavorare a maglia, il lungo ferro tenuto sotto al braccio e la testa china scaricavano la tensione sul tratto cervicale provocandomi nausea. Sembrava che solo una pastiglietta potesse risolvere i capogiri che mi capitavano in queste ed altre occasioni, poi un’amica mi consigliò i ferri circolari. Sono corti, collegati da un cavo e si lavorano con il metodo continentale tenendoli unicamente con le mani.
Scardinare una consuetudine ormai radicata è stata un grande sforzo di volontà, ma il nuovo modo di lavorare con i gomiti aperti, le spalle non più curve, ma rilassate e la testa libera da ogni tensione mi ha fatto ritrovare il piacere di questa attività.
Il libro “Sul filo di lana” ha associato il lavoro a maglia al Tai Chi, per la coordinazione e il rilassamento. Ho poi imparato che era necessaria anche l’apertura. La mia esperienza mi ha portato infine a considerare come il Tai chi possa migliorare ogni attività che ci da piacere, passo dopo passo, punto dopo punto, diritto e rovescio, yin e yang.